INCONTRIAMO ANNA SARTORI, MOLTO PIU’ CHE UNA PASTICCERA

Anna, partiamo subito da Gran Comida: come mai hai deciso di coinvolgerti?

Io penso che il nostro fare sia soprattutto condivisione e rete. A qualsiasi livello e per qualsiasi ragione. Nell’essere parte di un sistema si giustifica tutto il nostro operare e quando questo nostro fare pone l’accento su temi che riguardano l’attenzione verso l’altro, questa condizione ci aiuta a comprendere il valore di sentirci parte di un’unità. Tanti piccoli punti che insieme disegnano la realtà. Conservare la propria individualità aprendoci all’altro è una forza e anche un’esperienza molto difficile, richiede fiducia e tanto allenamento per cui ogni occasione è buona.

Cosa ne pensi della nostra idea di cucinare insieme per contribuire a generare il bene e il bello?

Ho sempre pensato che trasformare un gesto quotidiano ed abitudinario in un momento speciale sia la chiave per ritagliare e ancorare dei momenti di crescita importanti all’interno di un’esistenza altrimenti così frenetica e sviante qual è la vita oggi giorno. Per questo lo ritengo non solo piacevole ma fondamentale.

Cosa rappresenta il cibo per te e che ruolo ha nella vita di una persona?

Il cibo è esistenziale. Ci sono pochissimi gesti così indispensabili e quotidiani. Si potrebbero sintetizzare in poche attività di cui solo due, mangiare e respirare, portano il mondo esterno a fare parte di noi. Se ci si pensa è veramente qualcosa di estremamente inclusivo e meriterebbe solo per questo tutta la nostra attenzione. Se solo riuscissimo a rendere questo gesto di per sé materiale, più riflessivo, potremmo spostare l’attenzione dall’esterno a noi stessi per incominciare un cammino di conoscenza interiore. In quest’ottica il termine “esistenziale” acquista il suo significato più profondo di “fondamentale per l’esistenza materiale, e non solo, dell’essere umano”.

Per te la pasticceria è una questione di famiglia, ma tu non hai iniziato subito da lì. Come ci sei arrivata? Che percorso hai fatto?

Mi piacerebbe dire che la pasticceria sia sempre stata la mia passione, il sogno della mia vita. In realtà non fu così. La mia prima grande passione fu lo studio, a qualsiasi livello, in qualsiasi forma. Leggere, con una scarsissima capacità mnemonica, per cui la lettura diventava meno apprendimento e più sogno e parte integrante e inconsapevole del mio profondo. Per me, e devo ammettere anche per mio padre, il “che cosa” non è mai stato determinante quanto “il come e il perché”. Decidere cosa fare è spesso casuale, mio padre era partito dal mondo della meccanica, io dal mondo della consulenza, poco importa, ciò che realmente conta è decidere come fare, affinché diventi l’espressione di noi stessi dando soprattutto un senso più ampio e convincente al nostro percorso di vita. Dal mio punto di vista bisogna lasciarsi coinvolgere completamente, basando il nostro agire su valori che possano lasciare un segno nelle persone che verranno in contatto con noi, solo così l’esperienza di vita ha un senso. Prima la laurea in agraria poi due diplomi in naturopatia e medicina energetica infine l’ esperienza sul campo e la partecipazione a diversi concorsi nazionali ed internazionali.

Grazie alle tue conoscenze hai creato il “Metodo FEIS”: ce lo spieghi?

FEIS, è l’acronimo di Fisico, Emotività, Intelletto e Spirito. Descrive l’esperienza del cibo a 360° come un’esperienza fisica in quanto nutrimento, e al contempo emozionale per la capacità che ha di legarsi al nostro vissuto scatenando reazioni emotive ma anche intellettuale perché ci proietta sempre in un mondo di tecnologia e di scienza. Tutto questo con una componente di grande individualità, dove il rapporto che ognuno ha con il cibo è estremamente soggettivo al punto da diventare l’occasione di un’indagine profonda, spirituale.

In che modo incide sul vostro modo di lavorare?

Lavorare sul cibo a 360° impone di mettere la persona, l’individuo, al centro di ogni scelta. Il profitto diventa la conseguenza di un modo di operare. Le scelte diventano più impegnative e la ricerca più complessa, non complicata, ma frutto a volte di un’intuizione che è vibrazione e prescinde dalla razionalità limitata e dalle informazioni che sono il più delle volte asimmetriche.

Recentemente hai costituito il “Consorzio di Tutela del Lievito Madre da Rinfresco”. Prima di chiederti del Consorzio, ci spieghi velocemente cos’è il Lievito Madre da Rinfresco?

Gli agenti lievitanti, responsabili della lievitazione, sono diversi. Più genericamente si parla di agenti lievitanti chimici o microbiologici. Nel mondo microbiologico esistono i lieviti e i batteri. Il lievito madre da rinfresco è un insieme di lieviti e batteri che si sviluppano “spontaneamente” in un rapporto naturale,
perfetto ed armonico: “simbiotico”. E’ questa simbiosi a renderlo così speciale. Per raggiungere questo
risultato si deve procedere con una tecnica, lunga e delicata, che si chiama “rinfresco” dove l’acqua e la
farina vengono lasciate fermentare spontaneamente nelle giuste condizioni di calore e luce. Normalmente per avere un lievito madre da rinfresco “maturo” e cioè pronto per essere utilizzato, è necessario rinfrescare tutti i giorni il lievito per almeno tre volte al giorno.

Perché tu e i tuoi colleghi avete sentito questa necessità?

Perché non è compresa la differenza tra il lievito madre, ottenuto seguendo la tecnica da rinfresco, e tutti gli altri tipi di lieviti naturali a partire dal semplice lievito di birra per arrivare al lievito madre liofilizzato, messo a punto e stabilizzato, addizionato direttamente dalle industrie e venduto per essere utilizzato direttamente tal quale. In tutti questi casi dal pasticcere non viene effettuata nessuna operazione e soprattutto la crescita e la maturazione del lievito è un passaggio che viene omesso a scapito della professionalità, della tecnica e dell’equilibrio che si crea, nel tempo, a livello d’impasto.

Che obiettivo avete con questo Consorzio?

Tutelare questa tecnica, che è un patrimonio dell’umanità perché nasce con l’uomo, motivando e
sostenendo le ragioni che ne giustifichino lo sforzo e l’impegno per il suo utilizzo, attraverso la
differenziazione e il riconoscimento dei prodotti sul mercato.
E ora qualche consiglio per i nostri lettori…con noi farai i biscotti Pan di Zenzero: vuoi darci qualche dritta per preparaci bene alla ricetta?
E’ una preparazione molto divertente e curiosa che non richiede particolari abilità o strategie. L’aspetto
forse più complesso, semplicemente perché inusuale, lo si ha al termine della cottura nello zucchero quando uniremo il bicarbonato e si avrà un effetto effervescenza. Niente paura l’importante è utilizzare una pentola abbastanza capiente per evitare la fuoriuscita del prodotto!!!

…e se qualche giovane partecipante volesse intraprendere la carriera di pasticcere, cosa gli/le diresti?

Accetta le contaminazioni, non solo in termini di cultura enogastronomica ma soprattutto interdisciplinare. La complessità ci ha insegnato che niente può essere valutato solo secondo una logica. E’ importante avere più riferimenti per raggiungere contestualmente più obiettivi apparentemente distanti o separati. In sintesi evviva la cultura, evviva la curiosità e avanti con la pratica.

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